Il castello di
Zumelle
Mel (BL)
Il Castello di Zumelle (comune di Mel) si trova sulla cima di un’altura posta alla confluenza di due corsi d’acqua che originano il torrente Terche, affluente del Piave.
Tuttavia le fonti non sono sufficienti a confermare né l’esistenza di una torre romana, né il passaggio in questo luogo della via Claudia Augusta, anche per il disagevole, se non impossibile, transito su un sentiero scosceso.
A prescindere dalla frequentazione romana del sito, il castello vero e proprio sorse, verosimilmente fra VI e VII secolo, assumendo una funzione di controllo sulla strada passante per il valico di Praderadego (romana o tardo antica che fosse) e di difesa della viabilità della Val Belluna, mediante un sistema di segnalazioni visive con altri capisaldi posti lungo i vari tracciati stradali.
Bisogna arrivare fino a Carlo Magno per avere notizie più sicure circa la concessione di privilegi imperiali su alcuni feudi, tra i quali potrebbe rientrare anche Zumelle. Nel 1032 il castello ed il contado da esso dipendente furono dati in feudo al barone Adelfredo, dal quale passarono alla figlia Adelaide, per giungere, intorno alla metà del XII secolo, nelle mani della contessa Sofia da Colfosco, maritata da Camino.
Sotto il suo dominio il castello raggiunse la massima estensione ed importanza. La decisione di lasciarlo in eredità al vescovo – conte di Belluno – causò lo scoppio di violente contese fra quest’ultimo e la famiglia da Camino, finché, nel 1196, la rocca venne assaltata e completamente distrutta dalle milizie bellunesi, alla cui testa c’era il bellicoso vescovo Gerardo de’ Taccoli.
Prontamente ricostruito, perse, però, la sua importanza, anche se continuò ad essere teatro di assalti, distruzioni e conseguenti restauri, il più importante dei quali venne eseguito nel 1311 da Rizzardo da Camino, su ordine dello stesso imperatore Enrico VII di Lussemburgo. Dopo varie vicissitudini e passaggi di proprietà, tra Caminesi, Scaligeri, duchi d’Austria, Visconti e Venezia, il castello subì un nuovo saccheggio nel 1510, durante la guerra della Lega di Cambrai contro la Repubblica Veneta.
Questo episodio segnò praticamente la fine dell’importanza strategica della rocca, la cui proprietà era stata concessa, già nel ’400, ai conti Zorzi (Giorgi). Ad essi seguirono nel 1720 i conti Gritti. Nel 1872 il Comune di Mel lo acquistò in un’asta pubblica per adibirlo a uso rurale e alloggio di coltivatori dei fondi annessi. Parzialmente rivalutato tra XIX e XX secolo come romantico punto d’incontro, finì presto dimenticato da tutti.
Il recupero
un capitello corinzio ed un frammento di colonnina con unito il proprio capitello;
frammenti di una lastra di pietra e due formelle pavimentali esagonali;
un sarcofago contenente due teschi e varie ossa umane;
una grossa pietra con un piccolo incavo artificiale di dubbia funzione;
quasi una ventina di scheletri rinvenuti a varie profondità;
alcune palle di pietra.
Si tratta di reperti tutti posteriori all’età romana, tali, comunque, da far ipotizzare l’esistenza del castello già intorno al VI-VIII secolo.
Pianta dei resti delle strutture primitive (fra cui la cappella)
con quote dei reperti rinvenuti
Tale sequenza risulta formata da due unità geologiche principali e sovrapposte, conosciute rispettivamente con il nome di biancone e scaglia rossa.
La prima unità (biancone) affiora lungo il lato meridionale dello sperone, sul fondo della gola del Terche; è la più antica e costituisce la base del rilievo; risale al periodo compreso tra il Giurassico terminale ed il Cretaceo inferiore; risulta composta da calcari marnosi, noduli di selce nera o grigiastra e abbondanti resti di microfossili.
La seconda unità (scaglia rossa) rappresenta il volume preponderante dell’altura e ne costituisce la porzione medio – sommitale; è costituita da marne calcaree, calcari marnosi rossastri disposti a strati, abbondanti resti di micro e macro fossili e noduli di selce rossa; risale all’età compresa tra il Cretaceo superiore ed il Paleogene.
Nella prima parte, rivolta a settentrione, un po’ più umida ed ombrosa, si trovano alcuni alberi tipici della montagna come il faggio, l’abete rosso ed il larice. Si nota, inoltre, la presenza del tasso, chiamato “albero della morte” per la forte tossicità delle sue foglie, nonché del frassino, particolarmente sacro nella mitologia nordica.
In una zona meno umida appaiono il tiglio, con i suoi fiori molto ricercati dalle api, ed il carpino bianco, apprezzato per l’ottima legna da ardere.
In posizione più soleggiata si osserva la quercia, la roverella, l’orniello, il pioppo tremulo ed il castagno, già fonte primaria di sostentamento nell’economia di sopravvivenza.
Degni di segnalazione anche vari arbusti come il caprifoglio ed il biancospino, chiamato “la valeriana del cuore” per le sue qualità medicinali.
Come suggestivo corredo ad alberi e arbusti, si avvicenda, nel corso della stagione primaverile, una considerevole varietà di fiori delle piante erbacee del sottobosco e del prato.