Mura veneziane di
Treviso
Porta SS. Quaranta, Porta San Tommaso e Porta Altina
Visita a tre interessanti porte della cinta muraria che i
veneziani costruirono a Treviso nel XVI sec. avvalendosi di Giovanni da Verona.
LA STORIA
La costruzione delle mura di Treviso con le porte
d’accesso alla città è legata al dominio veneziano durante il XVI sec. Dopo
la sconfitta di Agnadello e la guerra della lega di Cambrai, Venezia fu
costretta a fortificare le città venete, tra cui Treviso.
Treviso nel XV sec. si presentava come una bella città ad
impianto medioevale, cintata da alte mura merlate trecentesche, con borghi che
si estendevano a raggera nella campagna, fuori dalle 13 porte. Numerosi conventi
e ricchi edifici, decorati a fresco sulle facciate, indicavano un periodo di
pace e prosperità. L’abbondanza dei corsi d’acqua aveva reso la città
ricca di mulini, ma non presentava alcuna efficace difesa, poiché molte
costruzioni erano addossate alle mura e le borgate esterne offrivano facile
riparo ad eventuali attaccanti. Questa situazione pose con urgenza il problema
del rinnovo delle fortificazioni.
In pochi anni Venezia trasformò la città di Treviso in
una fortezza militare attraverso interventi traumatici e profondi: le mura
medioevali vennero trasformte in altre più adatte ad affrontare le nuove armi,
si crearono difese e presidi militari permanenti, con sistemazioni d’emergenza
che costarono drammatiche demolizioni.
Il cambiamento fu così veloce e radicale che la città ne
risentì le conseguenze fino alla fine del XIX secolo. Basti pensare al divieto
di costruire fuori dalle mura che durò quasi tre secoli, fatto rispettare da
tutti i podestà-capitani.
In un decennio, dal 1509 al 1518, le antiche mura, i borghi
e i conventi esterni alla cinta medioevale furono distrutti; le porte
d’ingresso furono ridotte a tre; si passò da una struttura urbana con uno
sviluppo a raggera attorno alle antiche mura medioevali, ad un’altra ad
impianto murario poligonale che traccia il limite invalicabile delle attività
edilizie. Oltre la cinta muraria si estendeva una spianata priva di case, muri,
alberi e viti.
La città di Treviso doveva presentarsi, a chi arrivava,
protetta da una muraglia inespugnabile, emergente dalla pianura spoglia di
piante ed edifici e circondata d’acque. La rappresentazione che ne fecero
alcuni artisti fu proprio questa, e non v’è dubbio che l’impressione doveva
essere veramente forte, soprattutto in coloro che si avvicinavano alla città
attraversando la larga spianata.
Questa trasformazione fu affidata nel 1509 su incarico dal
Consiglio dei Dieci a Giovanni da Verona, detto Frà Giocondo, che aveva già
lavorato per Venezia.
Frà Giocondo, frate francescano, era una bella figura di
architetto ed umanista che nell’arco della sua lunga vita (1433-1515) ebbe
modo di conoscere e frequentare gli ambienti italiani e francesi più aperti
alle innovazioni artistiche che all’inizio del 1400 s’erano manifestate a
Firenze. Il suo interesse verso l’architettura antica lo portò a rilevare
monumenti e a trascrivere molte epigrafi latine. Il suo metodo
dell’annotazione e del rilievo gli permise di studiare e rielaborare gli
strumenti per il rilievo topografico e per il calcolo delle aree, essendo egli
convinto, come scrisse, che prima di progettare fosse necessario rilevare ed
osservare di persona gli ambienti.
Tra il 1514 e il 1515 fu costruita porta Altinia. Essa
sorge sull’antico ingresso medioevale e di questo conserva i caratteri della
torre di difesa. Pur nelle sue linee austere doveva suscitare una notevole
suggestione a chi entrava in città. La fine della guerra e l’orgoglio per lo
scampato pericolo di invasione fecero sì che gli interventi architettonici
successivi, non più pressati da urgenze difensive, divenissero l’atto
celebrativo della vittoria e indicassero la rifondazione della città nella sua
nuova “forma urbis”. Per questo la porta di SS. Quaranta e ancor più quella
di S. Tommaso assunsero il carattere magniloquente degli archi trionfali romani.
La Porta dei Santi Quaranta
La porta di SS. Quaranta fu fatta erigere dal podestà-capitano
Nicolò Vendramin nel 1517. Costruita in un solo anno, la sua monumentale
facciata assunse subito il carattere celebrativo della vittoria, voluto dal
podestà, il quale le diede il nome di Vendramina e fece incidere sulle due
facciate il proprio nome.
Il podestà non si limitò a questo in quanto sopra il
portello di destra entrando, un’epigrafe ricordava: «Nicolaus Vendraminus
Pauli F. Andrea Principis Nep. P. R. Pref. novam urbem fossa muroque circumdedit,
regiones ac diligentis distinxit, portam sui nomis cum omni cultu» per ribadire
accanto agli altri meriti, la paternità della porta. L’iscrizione però fu
fatta scalpellare dal Senato veneto, il quale, pur riconoscendo i meriti del
Vendramin, non gradiva queste forme di autocelebrazione. Rimase, sul lato
sinistro, quella dedicata a Bartolomeo D’Alviano, ricordato autore delle
fortificazioni trevigiane.
La porta ha pianta quasi quadrata (15.80 x 16.70 metri); il
vano centrale, a cui si accede attraverso una porta arcuata larga 3.45 m, è
coperto da una volta intonacata retta da una serie di piccoli archi. L’ornato
della facciata esterna, in pietra d’Istria, sobrio e pacato, è incorniciato
dalla muratura trattata ad intonaco. Solo ora, a restauro concluso, si comprende
il valore cromatico delle fasce laterali, le quali esaltano con il loro colore
rosso mattone, il biancore leggermente ambrato della pietra d’Istria.
L’insieme doveva dare l’idea di una fortezza
inespugnabile e nello stesso tempo simbolizzare un governo forte e sicuro.
La facciata deve essere considerata in tutta la sua
altezza, dal corso d’acqua alla cornice, come doveva apparire prima che
venisse costruito il nuovo ponte nel 1873: il basamento a scarpata riprende gli
zoccoli dei quattro pilastri ed è sagomato da quattro speroni trapezoidali che
seguono l’inclinazione della prima parte delle mura fino alla cordonatura
mediana. Le misure della facciata fino all’acqua indicano una forma quasi
quadrata.
Il grande leone sopra l’arco centrale, opera dello
scultore De Lotto, sostituisce quello distrutto dai francesi nel 1797. La
trabeazione contiene la scritta “Porta de Sancti Quaranta”, mentre la
facciata interna reca la scritta in latino “Porta Santorum Quadraginta”.
Quattro capitelli a fogliame completano i pilastri affiancati da quattro stemmi:
due della città di Treviso, uno del doge Loredan e il quarto del podestà
Andrea Vendramin.
Le tre grandi feritoie che tagliano verticalmente la
facciata fino all’altezza dell’arco indicano la presenza, in passato, di due
ponti levatoi, di cui uno pedonale e l’altro carraio. La necessità tecnica di
sollevare i ponti ha condizionato non poco il disegno dell’ornato in pietra
d’Istria. Si noti come la parte inferiore, quasi interamente limitata dagli
ampi vani rettangolari per l’incastro dei ponti, sia priva di decorazioni e
come queste siano presenti nella fascia superiore, appena sopra l’arco,
distribuite con sobria eleganza. Non sarà così per porta San Tommaso,
magniloquente nella sua partitura architettonica, costruita solo un anno dopo.
Il restauro delle pareti intonacate ha evidenziato la
presenza di alcune decorazioni in affresco. Tuttavia descrizioni del Botter e
del Coletti ci documentano la presenza di altre, oggi completamente scomparse,
ancora leggibili nel 1930: la facciata interna verso la città “…è dipinta
ad affresco con finta architettura e stemmi: bruno su fondo giallo oro”, un
leone su fondo a paesaggio, riempiva la lunetta; all’interno del vano
centrale, sotto la fascia a festoni, “... in corrispondenza alle mensole, un
finto zoccolo con elegante figurina nuda,...”.
All’interno del vano centrale sulla parete sud,
probabilmente collocata ai tempi della costruzione, si trova una scultura in
bassorilievo raffigurante San Liberale con vessillo, proveniente forse da una
delle cinta medioevale.
Il vano del sottotetto, a cui si accede per una scala
ricavata nello spessore del muro, presenta una pavimentazione in mattoni da cui
emerge, nella parte centrale, la curvata della volta sottostante. Nei tre lati
prospicenti l’esterno della città, sei feritoie con sguanci laterali
permettevano una visibilità da sud a nord superiore a 180 gradi. La copertura a
quattro spioventi era sostenuta da una intelaiatura in legno, con molta
probabilità costituita da una capriata principale e da altre collaboranti e
concorrenti allo stesso”monaco”, formando in questo modo un’unica
struttura “reticolare”.
La Porta di San Tommaso
La porta di San Tommaso fu fatta costruire nel 1518, in
soli dieci mesi, dal podestà-capitano Paolo Nani, il quale consapevole della
scarsa propensione di Venezia ad accettare scritte autoelogiative, la chiamò
porta Nana e fece porre sulla sommità della copertura la statua di San Paolo,
certo che solo in questo modo poteva restare nel tempo il ricordo di sé.
L’edificio è a base quadrata: il vano centrale ha
quattro pilastri con alto basamento ed altri due più piccoli, che sostengono il
soffitto a vele. Un ampio portone recava al vano della guardia, mentre un
portoncino situato sul lato destro della facciata interna, permette, ancora
oggi, l’accesso, attraverso una ripida scalinata in pietra, all’ampio
sottotetto. La copertura è formata da una complessa struttura ottenuta con
grosse travature in legno, più volte sostituite, che sostengono un rivestimento
di lastr di piombo a quattro falde a schiena d’asino e, come si è detto, la
grande statua in pietra d’Istria di San Paolo.
La facciata esterna rivolta a settentrione è tutta
rivestita con la medesima pietra; ripartita da sei colonne a tutto tondo,
poggianti su un alto basamento, con alta trabeazione sopra cui uno sporgente
cornicione racchiude tutto l’ornato. Come la porta di SS. Quaranta, la
facciata è impostata su sei grossi speroni trapezoidali affioranti
dall’acqua, oggi però solo parzialmente visibili perché coperti dal nuovo
ponte.
Una incisione del 1591 ci mostra la porta in tutta la sua
imponenza, emergente dalla spianata e completata ai lati dalla cinta muraria. Il
bianco della pietra d’Istria inoltre doveva essere accentuato dal contrasto
cromatico con il mattone delle mura retrostanti. Oggi questo effetto si è
notevolmente attenuato a causa delle piante, dei rampicanti e della sporcizia
che si è depositata ovunque rendendo quasi illeggibile il monumento.
Lo stile rinascimentale della facciata contiene già quegli
elementi scenografici cinquecenteschi che saranno più tardi il tema
dell’impianto decorativo di alcuni palazzi veneziani. Tutto l’ornamento,
dalle colonne all’arco centrale, dalle cornici aggettanti alla ricca
decorazione a trofei e fogliame, esprime superbamente il fasto e al forza; non
sembra sia passato solo un anno dalla sobria e contenuta architettura di porta
SS. Quaranta.
La guerra era finita, i pericoli di assedio e d’invasione
erano passati, quindi la fastosità architettonica diveniva l’atto celebrativo
della vittoria e della ripresa della vita nella nuova città. Una scritta
beneaugurante posta sulla fascia della cornice della facciata interna –
“Dominus custodiat introitum et exitum tuum” –, ci permette di comprendere
il clima di sicurezza conquistata dopo i lunghi anni di incertezza e di
trasformazioni provocati dalla guerra.
Oltre la porta, una larga strada – via Nana –
rettilinea e lastricata, lunga mezzo miglio, con l’andamento dell’attuale
viale Vittorio Veneto, fatta costruire subito dopo, terminante con una colonna
posta ove oggi inizia la curva a sinistra, assumeva il carattere di un vero e
proprio percorso trionfale dedicato al podestà e all’opera difensiva che
stava per concludersi.
Una scritta posta nel fregio dell’architrave della
facciata esterna ”Restau. Anno Domini 1703”, ripetuta nella facciata interna
sopra i pilastrini, ci ricorda che la porta corse grave pericolo di crollo.
Il podestà-capitano Federico Renier nella sua relazione
del 1702, indirizzata al doge, scrive:”…non devo commettere di rinovar a
Vostra Serenità la notitia del stato pericoloso in che s’attrova la porta di
San Tomaso, ch’è il più nobile ornamento di quella Città, fabricata de
marmi, d’architettura eccelente, tutta coperta di piombo, costrutta con
rilevantissima spesa. Minaccia imminente rovina, che sarebbe di già successa,
quando non l’havessero fatta differire per qualche tempo i puntelli, cò quali
sì è procurato sin hora sostenerla. La sua ristauratione spetta alla publica
cassa, che ne risentirebbe troppo grave dispendio, quando il suo precipitio la
neccessitasse a reedificarla. Sospirano li signori deputati di quella il suo
riparo, ed io obedendo il venerato cenno dell’Eccellenze già rilasciatomi,
assoggetto unita al loro sapientissimo riflesso la nota del bisogno per
praticarlo, consistente in lire 7313 circa”. Dopo questa descrizione i lavori
di restauro iniziarono immediatamente e vennero completati ed inaugurati dopo un
anno.
Evidentemente il timore di spendere ancor di più se fosse crollata, aveva
spinto ad intervenire velocemente!
Treviso
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