Caprino Veronese (Verona)
La presenza di argilla nel sottosuolo della contrada caprinese di Porcino, ha dato luogo, sin dalla metà del secolo XVI, ad una fiorente industria di prodotti laterizi (coppi, mattoni e mattonelle) che furono ampiamente utilizzati non solo nell’edilizia locale ma anche in quella dei paesi limitrofi e pure della città di Verona. Col loro caratteristico colore grigio-giallastro questi manufatti sono ben distinguibili e tutt’ora molto ricercati per il loro gradevole effetto cromatico per essere utilizzati nei restauri di edifici nei centri storici. L’argilla era cavata nei mesi invernali praticando pozzi di metri 4x4 profondi fino a 10 metri. La profondità giocava a favore della purezza dell’argilla. Lasciata in cumuli a gelare durante l’inverno onde favorire il processo di disgregazione, veniva poi immersa nell’acqua e, così inumidita, veniva pigiata con i piedi per amalgamarla e renderla plastica. L’impasto così ottenuto veniva posto, utilizzando un apposito desco, in stampi di ferro rettangolari (“chirola”) e lisciato superiormente a mano. Quindi veniva adagiato sopra un semicilindro curvo in legno (“sipel”) per assumere la forma del coppo. Estratti dallo stampo con un deciso e abile gesto delle mani, i pezzi venivano allineati sull’”ara”, grande spiazzo di superficie sabbiosa tenuto constantemente spianato, affinché si essiccassero per poter essere agevolmente trasportati nella fornace a cuocere.
Coppi di Porcino rimasti da una delle ultime "cotture"
Quando i pezzi avevano raggiunto il ragguardevole numero di 30-35 mila venivano accatastati in strati verticali nella fornace (“biscotta”), sul piano ottenuto da arcate costituite con massi di calcare con i quali si riempiva anche il vuoto formato tra i due archi. Quindi si introduceva sotto le arcate, dalle bocche esistenti davanti ad esse, la legna in fascine che, in grande quantità (circa 600 quintali) era stata raccolta durante l’inverno. La cottura dei laterizi, che avveniva nei soli mesi di luglio e agosto, durava 6 giorni, dalla domenica al sabato successivo, durante i quali il fuoco doveva costantemente essere alimentato.
Il calore, che superava gli 800 gradi, provocava anche la cottura dei massi di calcare delle arcate che, gettati in acqua, si trasformavano in calce da costruzione.
Queste fornaci sono state attive fino al 1950. Ancora oggi ne esistono cinque, alcune in completo stato di degrado, altre adattate ad usi agricoli ed una restaurata e perfettamente integra.
È ancora assai vivo nella popolazione locale il ricordo di questa attività che vedeva impegnate, oltre alle famiglie proprietarie delle fornaci, anche molti lavoranti, specie giovani e ragazze.
La stessa accensione del fuoco per iniziare la cottura si svolgeva in forma rituale e solenne, si dice con la presenza del parroco che l’accendeva con una candelina della “Seriola” (Candelòra). A proposito di fuoco risulta che a Porcino fosse un tempo presente un tempietto dedicato a Sant’Antonio, patrono appunto delle attività che utilizzano il fuoco.
Una curiosità: chi raggiunge oggi la città di Magi Gnacu, 160 mila abitanti, nello stato di San Paolo in Brasile, ha l’impressione di trovarsi nel caprinese: piazza don Giuseppe Armani (con monumento a lui dedicato), via Domenico Brunelli, piazza Luigi Martini. Don Armani fu praticamente il fondatore di quella città dov’era giunto nel 1890 dopo essere stato, tra l’altro, parroco di Ferrara di Monte Baldo. Ma celebrando i funerali si accorse che la terra di sepoltura era un’argilla molto simile a quella che a Porcino veniva utilizzata per la produzione dei coppi e dei mattoni. Da questa geniale intuizione dipese l’avvenire di quel luogo. Chiamò in Brasile gli Armani, i Brunelli, i Martini e in poco tempo nacque l’industria dei laterizi.
Uno dei principali stabilimenti di produzione di laterizi e ceramica, che oggi impiega duemila dipendenti, fu fondato da un altro pioniere, Francesco Brunelli e ancora oggi appartiene ad un’azienda italiana.