Verona
Purtroppo è mancata per una serie di ragioni una politica di tutela nei confronti di questi edifici; l’espansione della periferia ha fagocitato moltissime costruzioni di pregio non prevedendo il recupero di queste aree dismesse nel contesto del nuovo disegno urbano.
Uno dei dati fondamentali della protoindustria a Verona è la simbiosi tra le attività umane e l’acqua; mulini natanti e segherie sono ricordati ancora oggi da alcuni toponimi.
La rivoluzione industriale del primo Ottocento, a differenza di altre attività del Veneto, tocca solo marginalmente Verona. Una delle principali ragioni fu che dal 1833 la città fu scelta come principale piazzaforte del sistema difensivo attuato dagli austriaci nel Lombardo-Veneto. In seguito a questa decisione, tutto il territorio venne sottoposto a rigida servitù militare. Tale situazione non mutò nemmeno dopo l’annessione al regno d’Italia, in quanto Verona se prima era città di frontiera verso sud poi lo sarà verso nord.
I primi tentativi di creare aree industriali su larga scala si ebbero solo a partire dagli anni ’90 dell’800.
Questo non significa che non ci siano stati interventi aventi come scopo il processo di sostituzione del lavoro manuale con la macchina con la conseguente costruzione di edifici progettati a questo scopo.
Questi edifici, molto esigui nel numero, si trovano quasi tutti all’interno della cerchia murata. Alcuni sono andati distrutti con l’alluvione dell’82, altri sono ancora vincolati dall’autorità militare e quindi non accessibili. Uno di questi edifici noto come “Ex Macello” è stato da poco “ridonato” alla città dopo essere stato sottoposto ad accurato lavoro di recupero e restauro da parte dell’Autorità Comunale.
Il tentativo fatto nel 1833 di riammodernarne il macello di piazza Pescheria risulterà inutile in quanto insufficiente al fabbisogno di una utenza in continuo aumento a causa della militarizzazione della città. Allo scopo, nel 1853 il comune di Verona acquistò dall’erario lo stabilimento di artiglieria, già Sborro delle merci in epoca veneta, e lo destinò a nuovo centro di macellazione.
Questo antico edificio sorto vicino alla chiesa romanica di San Fermo Minore (o del Crocefisso) era stato usato prima come ospedale e poi fino al 1575 come lebbrosario. Successivamente l’area, compresa la chiesa, venne adeguatamente trasformata ed usata come espurgo per le merci infette provenienti dalla Germania.
I lavori di ristrutturazione e trasformazione in macello, su progetto dell’ing. municipale Enrico Storari, iniziarono nel 1856 e si conclusero nel 1862 quando furono aggiunte la casa del veterinario, del custode ed un nuovo corpo per le tripperie.
Nel 1898 furono necessari altri lavori di ammodernamento ed ampliamento della struttura che comportarono la demolizione della chiesa di San Fermo Minore. Il complesso divenuto con il tempo troppo centrale ed ormai superato nelle strutture nel 1962 venne chiuso.
Nel 1983, dopo anni di abbandono, l’edificio venne sottoposto dall’Amministrazione Comunale ad un primo restauro. Le facciate esterne vennero mantenute; altre parti, data la precaria condizione statica, furono interamente rifatte e trasformate in edifici residenziali. Il completamento del restauro riprese nel 1998 e si concluse nel 1999.
Lo scopo non secondario del restauro e recupero della struttura era quello di rivitalizzare il quartiere favorendo l’inserimento di attività artigianali e destinando alcuni spazi a conferenze, mostre ed accoglienza turistica.
Spaccio di carni annesso al macello
La soluzione adottata per l’edificio ha come altre strutture venete coeve, una chiara matrice settecentesca. L’organizzazione spaziale doveva essere funzionale e semplice, si doveva inoltre contenere l’alzato a modeste dimensioni, usare il rustico e porre qualche scultura allusiva in facciata. Il prospetto si caratterizza per una semplice linearità lievemente aggettante in corrispondenza del corpo centrale degli ingressi e dei pilastri terminali. Il parametro murario è rivestito con lastre di pietra battuta a dente minuto disposta a fasce orizzontali. Le lastre che rivestono i pilastri sono di un solo pezzo. I pilastri poggiano su di uno zoccolo e terminano sopra la cimasa con coppie di cariatidi bovine. Notevole il timpano triangolare, di considerevole lunghezza rispetto all’altezza (15,20x2,20). Nel mezzo sporge leggermente lo stemma del comune di Verona.
La zona che costituisce il quartiere con la sua forma triangolare è delimitata dall’Adige, da via Pallone e da stradone Maffei - San Fermo, diviso dalla parrocchia di San Fermo Maggiore da vicolo Vento e via Satiro. Quest’area incominciò ad essere indicata con il nome di “Filippini” dal 1715 quando nella badia benedettina di San Fermo Minore o in Braida si insediarono i padri della Congregazione di San Filippo Neri.
Il rione è organizzato attorno ad un nucleo con impianto geometrico a scacchiera; questo fatto avvalorerebbe l’ipotesi secondo cui l’area compresa tra le vie Filippini, vicolo Oratorio e via Satiro testimonierebbe la presenza di un Castrum romano, la cui costruzione dovrebbe datarsi all’età di Gallieno e inquadrarsi nell’ampio contesto di interventi della città attuati da questo imperatore.