Schio (Vicenza)
La fabbrica Alta di Schio
Il percorso inizia dalla Roggia Maestra a largo Fusinelle di Schio.
La Roggia Maestra è importante per la nascita di Schio industriale: l’acqua ne è l’elemento base, il fattore primo.
Il Lanificio Conte, del 1757, è una delle prime fabbriche tessili di Schio (nell’area è in costruzione una zona residenziale).
I mercanti come Francesco Rossi, padre di Alessandro (1819-1898), acquistano la materia prima la distribuiscono alle famiglie degli artigiani che lavorano secondo la loro specializzazione, la ritirano e la rivendono loro come prodotto finito.
Francesco Rossi, proveniente da Lusiana era in origine allevatore e fu poi commerciante di lana.
È interessante in quanto i vari edifici superstiti presentano l’evoluzione dell’edificio fabbrica. Quello settecentesco, il più antico, ha solo due piani ed è in materiali locali: mattoni cotti nella fornace di Malo (ora DE ROMA, fabbrica di vasi in origine fabbrica di laterizi) e ciottoli di torrente, così pure tutti gli edifici industriali di questo periodo.
La seconda struttura è ottocentesca, multipiano (quattro piani). Struttura ideata in Inghilterra e sviluppatasi in tutta Europa (anche la “Fabbrica Alta” di Alessandro Rossi presenta struttura multipiano).
Il terzo nucleo, del 1922, è in cemento armato, elemento che ben si presta a sostenere il peso e le vibrazioni dei nuovi macchinari in acciaio e di grandi dimensioni e permette l’apertura di grandi finestre per dare luce ai locali.
Successivamente, abbandonato il modello multipiano per l’impossibilità di porre i macchinari sui piani alti, si opta per la fabbrica a capannoni, a “shed”, che con l’introduzione dell’energia elettrica trasportabile via cavo, possono essere costruiti nelle campagne con la disponibilità quindi di ampi spazi.
Il Lanificio Conte, a capannoni, ha lo spiovente Nord del tetto a vetrate per far entrare molta luce nei locali. In alto, in cemento armato, si trova il novecentesco serbatoio dell’acqua: in caso di incendio allagava i capannoni, ma anche i macchinari.
Francesco Rossi, nel 1817, fonda il primo lanificio formando una società con Sebastiano Bologna e poi con Eleonoro Pasini.
La Fabbrica Alta è voluta da Alessandro Rossi, figlio di Francesco.
È costituita da sei piani, destinato ognuno ad una diversa fase della lavorazione: nei seminterrati i magazzini per la lana, nel 1° piano il reparto cardatura, nel 2° la filatura, nel 3° la ritorcitura, nel 4° e nel 5° rispettivamente la tessitura normale e la tessitura Jacquard. (Joseph Marie Jacquard nel 1801 rese possibile la lavorazione automatica di tessuti con disegni molto complicati con un sistema di schede perforate), all’ultimo piano in un luminoso sottotetto a capriate il reparto rammendo destinato alle donne.
In Belgio aveva reperito tecnici tessili che mancavano a Schio: solo successivamente sarà fondato l’Istituto I.T.I.S. di Vicenza per la formazione dei tecnici tessili. In questo periodo all’anagrafe di Schio vengono registrati numerosi cognomi belgi. Per i tecnici furono edificati villini nel quartiere operaio.
La Fabbrica Alta è del 1849 e amplia un preesistente edificio del 1817, si affaccia su via Pasubio, che era la via di comunicazione verso Trento e la Germania percorsa dai mercanti.
Alessandro volle una facciata di rappresentanza che testimoniasse la grandezza della fabbrica, in stile neoclassico.
Sull’entrata principale vi è l’anno di fondazione, 1817, il nome Francesco Rossi, i simboli di Mercurio (caducei, panacei con i serpenti che si guardano), dio protettore del commercio e della pace: fabbrica, lavoro e commercio portano la pace. Nelle formelle decorative sono rappresentate:
– navi a vapore, che trasportano la lana pregiata, merino, dalla Spagna in quanto Schio dal 1700 riceve il permesso di lavorare oltre che i “panni bassi” anche i “panni alti”, tessuti pregiati che esigono lane di qualità, che a Vicenza non si fabbricano più;
– pecore merino dalle caratteristiche corna attorcigliate, produttrici di lana pregiata;
– balle di lana;
– corone di alloro.
Le finestre di facciata si rimpiccioliscono con effetto ottico prospettico per aumentare la monumentalità del prospetto.
La fabbrica era collegata da un ponte-sovrappasso ligneo all’edificio Tron, sito sul lato opposto di via Pasubio, prima fabbrica tessile, che arrivava fino alla torretta retrostante. Nicolò Tron, nobile veneziano e ambasciatore della Repubblica Veneta a Londra, aveva acquisito gli avanzati sistemi inglesi di lavorazione e commercializzazione della lana ed era stato chiamato a Schio per impiantare la prima fabbrica tessile secondo quelle tecniche innovative. Del Lanificio Tron rimane solo il porticato usato dagli operai come riparo durante le pause di lavoro. Il giardino era luogo di lavoro e sulla collina erano infissi i pali per l’asciugatura dei panni (come a Vicenza alle Chioare: chiodature). Nella torretta erano i servizi igienici e l’urina degli operai era usata come antifeltrente per le lane.
Di fronte è il Teatro Jacquard sorto nel 1870 al posto di un magazzino per la lana.
Tutti i luoghi rossiani hanno volutamente un significato simbolico, vogliono raccontarci la storia della città. Sulla facciata del teatro Tron sono rappresentati in cotto i busti dei personaggi che hanno fatto la storia di Schio. Il primo busto rappresenta Nicolò Tron. Vi sono poi: Maraschin geologo, i fratelli Manfron soldati di ventura, il domenicano frà Giovanni da Schio, e vari altri letterati, filosofi, ecc.
Al Teatro Tron erano annesse una biblioteca circolante ed una scuola per analfabeti.
All’epoca si poteva votare solo se alfabetizzati. Alessandro Rossi, entrato in politica, fu eletto senatore del Regno d’Italia.
Costruita la Fabbrica Alta, il Giardino Jacquard, ex Lanificio Tron, diviene il luogo di pausa di operai e cittadini e sul porticato Alessandro fa porre un’edicola dedicata al padre Francesco. La statua di Alessandro Rossi che lo raffigura realisticamente anziano, bronzo dell’Alberti (scultore milanese che collaborava alla costruzione dell’altare della patria) è stata donata e posta nel giardino dalla cittadinanza di Schio nel 1899, l’anno dopo la sua morte.
Sul retro del giardino all’inglese ricco di essenze rare vi è un ninfeo con statue, labirinti, grotte tipiche del gusto romantico ottocentesco, in cui è esaltata la mimesi, l’incontro uomo-natura, la “spontaneità”; anch’esso progettato da Antonio Caregaro Negrin architetto ufficiale di A. Rossi con cui condivideva ideali stilistici e patriottici.
Una scultura del ninfeo rappresenta un coccodrillo, simbolo dell’Egitto, collegato al mondo tessile in quanto gli egizi furono i primi ottimi tintori di lana; un’altra rappresenta Atlante, mitico simbolo dell’uomo che vuole superare i propri limiti; un’altra rappresenta una grande testa, con segnati i meandri cerebrali, simboleggiante la scienza. Il giardino si trova tra l’antico nucleo originario di Schio e la nuova zona della fabbrica e del quartiere operaio. E’ quindi importante anello di congiunzione armonico e graduale tra il vecchio stile di vita e il nuovo conseguente alla rivoluzione industriale, cambiamento radicale sotto vari aspetti.
ASILO ROSSI – È sorto nel 1872 su progetto del Caregaro Negrin per ospitare gratuitamente 250 bambini, figli delle operaie. Inizialmente è edificata solo la parte centrale ad un piano con i due porticati laterali. Nel 1881 viene aggiunto il secondo piano e può ospitare 500 bambini dai 3 ai 7 anni mentre le mamme lavorano. Nel porticato, ora chiuso da vetrate, si conservano i busti di illustri visitatori. Sulla sommità della facciata un’iscrizione di Cicerone:”In puero spes” sottolinea la potenzialità insita nelle nuove generazioni e l’importanza della loro educazione.
Rossi istituì anche un asilo di maternità (in via Maraschin, accanto alla fabbrica; demolito per allargare la via che porta a Valli del Pasubio e al Trentino) per i bambini dai 15 giorni di vita. Le mamme operaie avevano il permesso di assentarsi dal lavoro per allattarli.
Alessandro Rossi si costruisce un’abitazione a Santorso, attorniata da parco romantico con finte rovine romane, chiesetta, tempietto, ora gestito da una cooperativa che coltiva fiori, organizza visite guidate anche alla serra di farfalle tropicali e alle essenze rare del parco: tassi, magnolie, cedri. Acquisita dai comuni di Thiene e Santorso.
La moglie di A. Rossi fa ampliare l’edificio dall’architetto Rezzara, in stile classico. Ciò contraria non poco il Caregaro Negrin, che considera snaturata la sua opera. È un edificio in stile liberty, simbolo della nuova borghesia industriale, che soppianta l’aristocrazia terriera legata allo stile palladiano.
All’interno pochi arredi originali, ma tappezzeria in seta e stucchi floreali, piccola statua idealizzata della tessitrice: prima statua dedicata alla donna operaia.
In via Maraschin è anche il cancello d’entrata degli operai alla Fabbrica Alta, da cui si vedono la ciminiera a sezione circolare e quella a sezione quadrangolare, voluta dall’architetto per raccordarla con lo stile della fabbrica.
Gli operai non residenti nel quartiere provenivano da Bassano, Valli del Pasubio e dal basso vicentino.
Antonio Caregaro Negrin aveva presentato tre progetti per il quartiere operaio. Il primo progetto, con vie dall’andamento sinuoso e quartiere giardino con spazi verdi fu subito abbandonato per i costi elevati e fu scelto quello in linea con i moduli adottati nelle città industriali europee: le case a schiera.
Prima di realizzare le case a schiera furono fatti degli esperimenti: le case a corte, pensate per dare agli operai una abitazione simile alle case contadine poste a cerchio attorno ad un cortile, con portici, con l’orto per coltivazioni ad uso famigliare.
Abitazioni in cui gli operai non dovevano sentirsi avulsi bruscamente dal loro passato. L’idea è accantonata in quanto la corte, luogo di aggregazione, poteva diventare luogo di discussione di problemi sindacali o di lavoro; per egual motivo è abbandonato il progetto del palazzone, antesignano del condominio, con spazi abitativi per la singola famiglia e sala cucina-pranzo in comune. Ciò in seguito agli scioperi del 1873, conseguenti ai licenziamenti e alle riduzioni di stipendio. Scioperi che portano A. Rossi a ritorsioni che si riflettono anche sulle scelte costruttive successive.
Di fronte alla casa-corte sorge l’edificio della Scuola di pomologia, scuola agricola in cui si tenevano lezioni teoriche, mentre quelle pratiche avvenivano nella tenuta di Santorso.
Gli studenti, a tempo pieno, al pomeriggio con il treno Schio-Arsiero raggiungevano il podere di Santorso punteggiato da case di vario colore (rosa, giallo, ecc.) in cui venivano fatti esperimenti di colture intensive: Rossi era convinto che anche l’agricoltura, come l’industria, doveva progredire. Inoltre non si appropria di tutte le attività, ma favorisce il sorgere di industrie collaterali fornendo capitali e tecnici.
La scelta definitiva è la costruzione di case a schiera, moduli abitativi dal costo più contenuto.
Ciascuna casa è fornita di servizi interni, rari all’epoca, cucina, due camere da letto al primo piano, soffitta, a volte cantina e un piccolo orto familiare. Gli operai le acquistano con mutui ventennali a bassissimo interesse e si impegnano a non modificarne l’aspetto esterno per mantenere la struttura del quartiere come nel progetto iniziale.
A Piovene Rocchette le case del quartiere operaio vengono concesse in affitto, modalità rivelatasi più vantaggiosa per A. Rossi, che controllava saltuariamente lo stato delle abitazioni.
Nel quartiere non fu mai aperta un’osteria.
Una casa alta, al civico 59, presenta ancora le tinte originali e ora gli edifici vengono ritinteggiati con i colori del progetto.
Nella loro uniformità architettonica presentano piccole varianti nel colore, nella forma e nella decorazione delle finestre e questo per dare ad ogni famiglia una casa che si distinguesse per una sua particolarità.
Rossi nelle sue scelte si attiene al pricipio di Owen: se un lavoratore vive in un ambiente favorevole questo si riflette positivamente nella resa del suo lavoro.
La caratteristica peculiare del quartiere operaio di Schio sta nella contiguità alla città e nel fatto che operai e dirigenti abitano accanto. Un’altra fabbrica di Schio che sorge a fianco della casa dell’imprenditore e dei dirigenti è la Saccardo. Anche a Crespo d’Adda esiste un quartiere operaio, ma fabbrica e case sorgono lontane e isolate dal centro urbano.