Le mura
cinquecentesche di Padova
Tre itinerari di visita
Di fronte alla coalizione delle maggiori potenze europee (l’Impero di Massimiliano I, la Francia di re Lodovico, la Spagna di re Ferdinando, papa Giulio II e altri) associate nella Lega contro la Dominante, e di fronte alla minaccia imminente di un assedio della città di Padova da parte dell’ esercito imperiale, fu presa la decisione di realizzare intorno alla città una veloce struttura difensiva. In tempi accelerati, sotto il comando del condottiero Nicolò Orsini da Pitigliano e su progetto di fra’ Giocondo, viene attuato il “guasto”, cioè lo spianamento, dentro e fuori le mura, di una fascia di terra; con i materiali di queste demolizioni e con terra, sabbia e legno vengono innalzate strutture che, nonostante il loro carattere di precarietà, daranno prova di straordinaria efficienza durante l’assedio effettivamente portato dall’imperatore Massimiliano alla città di Padova e protrattosi dal luglio al settembre del 1509.
Esse saranno in seguito rafforzate e rese più durature con l’uso di mattoni e trachite.
Sarà il condottiero Bartolomeo d’Alviano, coadiuvato dall’architetto Sebastiano da Lugano, che riprenderà i lavori sulle mura nel 1513: il guasto verrà completato e si scaverà un sistema articolato di fossi; i bastioni e le cortine saranno rifatti in muratura. ”La città di Padova sarà tanto forte che le femene potrà vardarla” diceva orgogliosamente Bartolomeo d’Alviano.
Risoltesi in seguito le vicende storiche a favore di Venezia, si apportarono ancora modifiche e ammodernamenti alle mura secondo i criteri più aggiornati dell’arte militare, e si presentò anche l’esigenza di abbellire le mura con porte che celebrassero i fasti e la potenza della Repubblica, tanto che furono chiamate a lavorarvi personalità quali Giovanni Maria Falconetto e Michele Sanmicheli.
La cerchia, divenuta modello di opera militare anche all’estero, rimase praticamente intatta fino al XIX sec. quando una nuova concezione urbanistica e le esigenze della nuova viabilità portarono ad aprire sulle mura 11 brecce eliminando le porte Codalunga e Saracinesca. Le altre porte, persa ormai la loro funzione difensiva, hanno mantenuto la funzione monumentale; sono, in senso antiorario cominciando da Ovest: Porta Savonarola, Porta S. Giovanni, Porta Santa Croce, Porta Pontecorvo e Porta Portello.
Noi consigliamo di fare un itinerario per volta, a piedi, con soste interessanti anche dal punto di vista botanico, nei giardini.
ITINERARIO 1
Il percorso comincia in viale Codalunga, a pochi passi dalla stazione ferroviaria, dal bastione detto “della Gatta”, compiuto nel 1523 in forma arrotondata.
Qui Padova, che, dopo la sconfitta veneziana ad Agnadello in Ghiara d’Adda (14 maggio 1509), si era consegnata agli imperiali formando un governo oligarchico retto dalle maggiori famiglie dell’antica nobiltà padovana, da sempre ostili ai Veneziani, fu ripresa il 17 luglio 1509, dopo 42 giorni di fronda, dal capitano generale Andrea Gritti. Egli usò lo stratagemma collaudato dei soldati nascosti dentro a carri di fieno che entrarono, per mezzo anche di un guardiano compiacente, attraverso porta Codalunga e ripresero il possesso della città, importantissima dal punto di vista strategico.
Sempre qui Padova subì, nell’autunno dello stesso anno, l’assedio delle truppe imperiali.
Durante tale assedio, in disprezzo degli assedianti, fu più volte esposta dai Padovani una gatta penzolante da una picca (da cui il nome del bastione), al canto del ritornello:
“Su, su, su, chi vol la gatta,/ venga innanti del bastione/ dove in cima de un lanzone/ la vedrete star legata,/ su, su, su, chi vol la gatta?”
La difesa fu guidata da Citolo da Perugia, ricordato nella stessa canzone e oggi anche nella via a lui dedicata.
Accanto al bastione svetta la colonna massimiliana. Essa fu eretta a ricordo di questi gloriosi fatti, nel 1764, utilizzando una colonna proveniente dalla villa suburbana dei Capodilista, demolita durante il guasto. Più volte spostata, per ragioni di viabilità (in alcune epoche anche per ragioni politiche), è tornata definitivamente in viale Codalunga nel 1959, dopo i restauri resi necessari dai bombardamenti. Sul basamento compaiono tre iscrizioni dovute in parte a Carlo Leoni, patriota dell’Ottocento, autore di numerose altre iscrizioni in città. Nel 1997 è stata opportunamente collocata in uno spazio verde a ridosso del bastione della Gatta.
Proseguendo su viale Codalunga lungo la cortina di mura, visibile solo a tratti per la presenza di edifici dell’amministrazione comunale, si incontrano due edicole ottocentesche che si fronteggiano ai lati del viale.
Qui fino al 1902 si trovava una delle sette porte delle mura “veneziane”: porta Codalunga, detta “Elisabetta” durante la dominazione austriaca in occasione delle nozze tra Francesco Giuseppe ed Elisabetta di Baviera (Sissi) e della loro visita a Padova. Era stata già’ stata in parte abbattuta e adattata a barriera daziaria tra gli anni ‘80 e ‘90 dell’Ottocento. Fu definitivamente demolita per migliorare il collegamento stradale tra la stazione e la città: restano le due edicolette in muratura ai lati della strada, ampliata rispetto al passato.
Ci si dirige verso destra, passando per una breve breccia che lascia ben riconoscibile l’andamento delle mura che qui, in corrispondenza della porta, piegavano verso Est, verso la conca delle Porte Contarine. Appena oltrepassata la breccia si incontra l’entrata dei Giardini della Rotonda.
Realizzati nel 1925, offrono un esempio di conservazione e riutilizzo dell’area delle mura: a giardino per momenti di svago e di divertimento (qui, d’estate, si proiettano film all’aperto). Salgono verso la sommità del bastione con cinque gradoni ornati di vasche, panchine e altri arredi da giardino. In alto si erge il serbatoio monumentale (36 m) dell’acquedotto di Padova, che fonda la sua base però su via Citolo da Perugia. A livello strada l’edificio del serbatoio contiene un sacello in memoria dei padovani uccisi durante un bombardamento austriaco l’11 novembre 1916.
Lungo la via abitazioni di edilizia popolare (molte restaurate di recente), realizzate a partire dall’inizio del XX sec. da diversi Enti, con lo scopo di inserire nella città i ceti popolari.
Dopo la scuola elementare De Amicis, costruita a ridosso delle mura, si incontra il bastione 1° Moro, meglio riconoscibile dalla parte esterna.
Può definirsi un baluardo, in quanto ha forma pentagonale, come il successivo 2° Moro. È collocato in uno dei settori più importanti della cinta cinquecentesca, dovendo proteggere la città dalle minacce provenienti dal nord, cioè dalla più naturale direttiva d’attacco delle truppe imperiali. Sotto la guida del capitano Giovanni Moro intorno al 1531 furono completati questi due baluardi, probabilmente seguendo un progetto di Francesco Maria della Rovere. Il 1° Moro (detto anche “del bersaglio” perché vi si esercitavano al tiro i bombardieri, che riuniti in confraternita, formavano un corpo di milizia urbana reclutato fra i lavoratori della città), dal 1882 è stato infermeria per i “cavalli mocciosi”.
Oggi è sede di una organizzazione benefica, la “Casa mamma Romana”, dedicata a Romana Giacomelli Schiavon (1896-1979), eroica partigiana e fondatrice dell’opera Magnificat (1930) dedita al recupero di giovani in difficoltà. All’ingresso della Casa di accoglienza ricavata negli spazi interni del bastione compare una bella frase che Mamma Romana amava ripetere parlando della sua opera: “Qua se rancura quei che i altri trascura”.
Proseguendo lungo via Citolo da Perugia si incontra il bastione 2° Moro, detto anche “dei Crociferi”, per la vicinanza alla chiesa dei Crociferi. E’ stato, durante la dominazione austriaca luogo di fucilazioni. Ora sembra che stia per diventare un giardino. Anche in questo tratto, case popolari a ridosso delle mura.
Oltre la barriera Trento, aperta nel 1908, si trova il bastione 3° Moro, anch’esso eretto sotto la guida del capitano Giovanni Moro, detto “impossibile” perché sembrava impossibile realizzarlo in tempo utile (o perché impossibile da realizzare in zona paludosa e umida).
Esso ha ospitato dal 1905 la prima scuola all’aperto realizzata in Padova e in Italia, il ricreatorio Raggio di sole con la relativa scuola Francesco Randi (a Padova ne sono stati in seguito realizzati altri due, sempre sulle mura, per la cura e la prevenzione delle malattie polmonari).
Qui, durante la II guerra mondiale (8 febbraio 1944), sul rifugio affollato da circa 2000 persone cadde una bomba che provocò centinaia di morti: un sacello ricorda il tragico fatto.
Tornati alla barriera Trento si esce sul lato esterno delle mura e, assecondandone l’andamento sinuoso sottolineato dal fossato e in gran parte anche da un’area verde attrezzata, si ritorna al punto di partenza. All’esterno sono naturalmente più evidenti le forme dei bastioni.